Emergenza malattia parodontale. Ne soffrono oltre il 40% degli individui adulti

La parodontite è lo stadio più avanzato della malattia parodontale. Le gengive, l’osso e le altre strutture
di sostegno si danneggiano con perdita di dimensione verticale e orizzontale dei tessuti.
I denti possono spostarsi di posizione, diventare mobili e si può formare un ascesso.
Nei casi più gravi (piorrea) l’unica possibilità è l’estrazione dei denti compromessi.
Recenti studi indicano che nel mondo sono 743 milioni le persone affette da questa patologia con un
picco d’incidenza introno ai 38 anni di età. Nei paesi occidentali il 40% della popolazione adulta è affetta
da malattia parodontale di questi il 10-14% soffre di forme gravi di parodontite.
La principale causa della parodontite è una scarsa igiene orale; comunque recenti ricerche hanno suggerito una forte
correlazione fra il diabete, i problemi cardiovascolari e la parodontite. Il fumo, lo stress e i fattori genetici svolgono altresì
un ruolo importante nella comparsa della parodontite.
L’infiammazione gengivale che favorisce la parodontite nasce dalla placca batterica non rimossa regolarmente attraverso
una buona igiene orale e tramite sedute frequenti dal dentista.
Oltre alla perdita dei denti la parodontite può favorire problemi di salute generale come le malattie coronariche o le
endocarditi infettive. I batteri che favoriscono la malattia parodontale possono entrare nel circolo ematico ed agire come
fattori aggravanti di alcune malattie cardiache.
Il trattamento della malattia parodontale prevede un approccio diagnostico accurato utile a definire i parametri del
danno tessutale presente al momento della diagnosi e da utilizzare per il controllo dell’evoluzione della malattia nel
tempo.
La patologia deve essere trattata con un’igiene orale professionale, da ripetere con frequenza mirata alle esigenze del
singolo paziente, e l’uso di colluttori e dentifrici specifici.
Nei casi avanzati la parodontite viene trattata attraverso una pulizia professionale profonda delle gengive (levigatura
radicolare), a volte coadiuvata dalla somministrazione di antibiotici topici e sistemici e, in alcuni casi, dalla chirurgia
parodontale.

Le visite dal dentista sono fondamentali nella prevenzione delle carie infantili

Visite regolari dal dentista a partire dall’età di un anno risultano importanti per prevenire la carie.

JENA, Germania: Uno studio tedesco ha scoperto che i bambini sottoposti a visita odontoiatrica in età infantile, corrono minor rischio di contrarre carie ai denti primari. Lo studio di lungo termine condotto presso l’Ospedale Universitario di Jena ha valutato l’impatto sulla carie della prima infanzia delle prime, regolari visite dal dentista. La ricerca si è basato su un programma di prevenzione mirante ad accrescere la consapevolezza nei genitori sull’importanza dell’igiene dentale dei figli.

 

Più di 500 famiglie hanno preso parte al programma di prevenzione avviato nel 2009. I genitori sono stati informati sulle misure igieniche da prendere per la bocca dei bambini appena nati da pediatri, ostetriche, assistenti sociali e infermieri in un programma primo del suo genere in Germani, sviluppato in collaborazione con la città di Jena.

Quattro anni dopo, è stato lanciato il programma di prevenzione. L’indagine ha constatato il successo dell’iniziativa confrontando i bambini partecipanti al programma con quelli che non sono stati coinvolti. I ricercatori hanno decisamente trovato un minor numero di casi di carie tra i bambini di tre-quattro anni, che avevano preso parte al programma rispetto a quelli che non l’avevano seguito.

In Germania, fino al 20 per cento dei bambini sui tre anni soffre di carie, un’affezione che può portare a estesi danni ai denti. Secondo i ricercatori dell’ospedale di Jena, regolari visite dal dentista e corrette pratiche d’igiene dentale (se si inizia all’età di un anno alla comparsa del primo dente) si dimostrano essenziali per prevenire carie e ulteriori danni alla dentatura primaria. I risultati dimostrano che i bambini a rischio di carie nell’età dell’infanzia hanno bisogno fino a quattro visite dal dentista per prevenirla.

Secondo la Prof.ssa Roswitha Heinrich-Weltzien, Capo del dipartimento di odontoiatria preventiva e pediatrica presso l’Ospedale universitario di Jena «i risultati del programma di prevenzione parlano da soli. Abbiamo dimostrato che la prima educazione e sensibilizzazione dei genitori può portare a una cura ottimale dei denti nell’infanzia – ha sottolineato – e favorire una visita dentistica durante il primo anno di vita del bambino».

Per valutare le conseguenze a lungo termine delle prime azioni preventive nella cura dei denti dei bambini, i ricercatori stanno ipotizzando per il 2016 un altro esame loro riservato. «Con questo riesame possiamo determinare l’influenza che le azioni preventive possono avere sullo sviluppo della carie sulla dentatura provvisoria di un bambino» ha spiegato Yvonne Wagner, specialista al Policlinico di odontoiatria preventiva e pediatrica e responsabile del programma di prevenzione.

Donne e uomini masticano in maniera differente

 

Donne e uomini masticano in maniera differente

 

JECHEON (Corea) – Confrontando la dimensioni del morso, i grammi di cibo ingerito al minuto, la potenza masticatoria e la durata totale del pasto, oltre ad altri fattori, i ricercatori della Corea hanno scoperto delle sostanziali differenze tra i sessi per ogni parametro. Mentre gli uomini effettuano morsi più grandi e mangiano più velocemente, le donne masticano allo stesso ritmo degli uomini ma danno più morsi per boccone, aumentando così notevolmente la loro durata del pasto.

 

La ricerca riguardava 24 uomini e altrettante donne. Utilizzando elettrodi sulla pelle sovrastanti i muscoli della masticazione, mentre i partecipanti masticavano una porzione di 152 g di riso bollito, i ricercatori hanno misurato la dimensione del morso, la forza della masticazione, la masticazione per grammo, il numero totale di masticazioni e altri fattori.

Dall’analisi è emerso che le dimensioni del morso e la forza di masticazione erano significativamente più alte nei maschi che nelle femmine. Anche la velocità del magiare è stata significativamente più elevata negli uomini che nelle donne. La masticazione per grammo era significativamente più alta nelle femmine che nei maschi, mentre la velocità di masticazione non differiva tra i due sessi. Pertanto, la durata del pasto era significativamente più lunga per le donne rispetto agli uomini.

«I risultati di questo studio ha mostrato chiaramente che le femmine effettuano morsi più piccoli e masticano accuratamente con una potenza di masticazione più debole rispetto ai maschi, mentre consumano la stessa quantità di alimento» hanno concluso i ricercatori.

La perdita dei denti potrebbe rallentare le funzioni del corpo e della mente

 

 

Londra, UK: I ricordi e le capacità di deambulazione di adulti che hanno perso tutti i loro denti diminuiscono più rapidamente rispetto a coloro che posseggono ancora alcuni denti, dicono i ricercatori della London’s Global University (UCL). I risultati hanno infatti dimostrato che gli edentuli hanno risultati peggiori del 10 per cento nei test di memoria e di camminata veloce rispetto alle persone ancora dotate di denti.

 

Lo studio ha preso in considerazione 3. 166 adulti, di età uguale o maggiore di 60 anni, partendo dall’indagine English Longitudinal Study of Ageing (ELSA) e confrontando le loro prestazioni mnemoniche e di camminata veloce. L’associazione tra memoria e edentulia è stata spiegata dopo aver correlato i risultati con una vasta gamma di fattori, tra cui le caratteristiche sociodemografiche, i problemi di salute, il benessere fisico, comportamenti salutistici o no (es. fumare e bere), depressione, biomarcatori rilevanti e particolari status socioeconomici. Tuttavia, dopo aver calibrato i risultati in base a tutti i possibili fattori, le persone edentule hanno un passo leggermente più lento rispetto a coloro che sono ancora forniti di denti. Questo collegamento tra gli adulti più anziani inglesi in procinto di perdere i denti naturali e una diminuzione della memoria, oltre alla limitata funzione fisica, appare più evidente negli adulti di età compresa tra 60 e 74 anni rispetto a quelli di età superiore ai 75 anni.

«La perdita dei denti potrebbe essere usato come un indicatore precoce del declino fisico e mentale in età più avanzata, soprattutto tra i 60 e i 74 anni» ha detto l’autore, Georgios Tsakos del Dipartimento di Epidemiologia & Sanità Pubblica presso l’UCL. «Abbiamo riscontrato che le cause più comuni di perdita dei denti e del declino fisico e mentale sono spesso legate allo status socioeconomico ed evidenziato l’importanza di alcuni aspetti sociali quali l’istruzione e ricchezza per il miglioramento della salute orale e generale dei membri più poveri della società, indipendentemente da cosa ci sia dietro il collegamento tra perdita dei denti e declino nella funzione.

Constatando una perdita eccessiva del dente, si ha l’opportunità per identificare precocemente i soggetti adulti a maggior rischio di un più veloce declino fisico e mentale più avanti negli anni. Ci sono molti fattori capaci di incidere su questo declino, come lo stile di vita e fattori psicosociali apportatori di cambiamento» spiega Tsakos.

La ricerca intitolata “Tooth loss associated with physical and cognitive decline in older adults”, è stata pubblicata online sul “Journal of the American Geriatrics Society”.

Scoperto il super antibiotico

shutterstock_150920132Un gruppo di ricercatori della Northeastern University di Boston è riuscito a mettere a punto un super antibiotico in grado di distruggere tre dei principali batteri resistenti alle cure antibiotiche. Si chiama teixobactina ed è frutto delle ricerche condotte analizzando i microorganismi del suolo. Il team guidato da Kim Lewis ha isolato i batteri uno ad uno dal terreno. Successivamente, analizzando 10mila composti antimicrobici, hanno scoperto che la teixobactina si è dimostrata capace di debellare tre dei più pericolosi superbatteri resistenti: il Clostridium difficile, il Mycobacterium tuberculous e lo Staphylococcus aureus.

La teixobactina riesce ad ottenere i suoi effetti legandosi a bersagli multipli, molecole di lipidi e non proteine come gli altri antibiotici, rallentando così lo sviluppo di eventuali resistenze. La scoperta, pubblicata su Nature, acquista valore aggiunto se si pensa al fatto che, come ricordato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), questi batteri resistenti alle cure antibiotiche causano un totale di 25mila morti nella sola Unione Europea, con una spesa di circa 1,5 miliardi di euro. Basti pensare che nella sola Italia la percentuale di resistenza allo Staphylococcus aureus si aggira attorno al 25-50%, un primato in Europa.

“La nostra impressione è che la natura abbia prodotto un composto che evolve verso l’essere libero da resistenza”, ha affermato Kim Lewis specificando che una eventuale resistenza alla teixobactina si svilupperebbe solo dopo 30 anni. Il prossimo passo sarà dunque quello di creare un farmaco sulla base della teixobactina nella speranza di porre fine alla crisi degli antibiotici.

DENTISTI SVILUPPANO UN TEST DELLA SALIVA PER LA DIAGNOSI PRECOCE DEL CANCRO AL POLMONE

 

 LOS ANGELES (USA) Ricercatori dentali hanno sviluppato una nuova tecnologia che può rilevare la caratteristica mutazione del cancro polmonare nella saliva. In una serie di test, i ricercatori sono riusciti a dimostrare come rilevare tale mutazione nella saliva utilizzando il nuovo metodo che risulta efficace come il test al plasma. Il nuovo metodo potrebbe essere un’alternativa non invasiva, conveniente e rapida rispetto ai soliti test.

 

La nuova tecnologia, chiamata “electric field-induced release and measurement” (EFIRM), è stata sviluppata presso l’Università della California, Los Angeles. Secondo i ricercatori, permette di fare un rapido test della saliva del paziente rintracciando il fattore di crescita epidermico recettore del gene della mutazione, un indicatore di cancro ai polmoni.

Diversamente dai metodi convenzionali di rilevazione, che si fondano prevalentemente sulla biopsia tissutale, metodo invasivo, costoso e bisognoso di tempo, EFIRM si basa su un sensore elettrochimico che può rilevare queste mutazioni del gene direttamente nei fluidi corporei. Il tempo di rilevamento totale è meno di 10 minuti e ha solo bisogno di un piccolo campione di saliva sostengono i ricercatori.

Nell’applicazione clinica, ad esempio, EFIRM ha rilevato il fattore di crescita epidermico recettore del gene della mutazione nella saliva e nel plasma di 22 pazienti con carcinoma polmonare “non-small cell”. Nelle prove in cieco su campioni di saliva di 40 pazienti con carcinoma polmonare “non-small cell”, i ricercatori hanno raggiunto risultati quasi identici alle rilevazione basate su broncoscopia. I risultati possono avere importanti implicazioni per ulteriori sviluppi di metodi efficaci e non invasivi per la diagnosi precoce di cancro al polmone, la quale migliora significativamente i tassi di sopravvivenza in questo gruppo di pazienti. Il nuovo metodo potrebbe essere combinato con il test del DNA o utilizzato come complemento alla biopsia nei casi in cui la dimensione del tumore sia insufficiente per l’estrazione del DNA.

La ricerca intitolata “Noninvasive Saliva-Based EGFR Gene Mutation Detection in Patients with Lung Cancer” è stato pubblicato nel numero di novembre dell’American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine.

L’epilessia nel bambino: aspetti odontoiatrici e ortodontici

In neurologia pediatrica l’epilessia rappresenta una delle più comuni condizioni riscontrabili. L’incidenza di questa patologia è più alta nella prima decade di vita, periodo delicato durante il quale il bambino completa parte del suo sviluppo sociale e educativo1.
Comprendere e conoscere gli aspetti di tale disturbo aumenta da parte dell’odontoiatra pediatrico la consapevolezza sull’impatto che questa malattia ha sulla salute psicofisica del piccolo paziente, sulla condizione e comprensione della situazione clinica, sui suoi aspetti e manifestazioni principali e i conseguenti comportamenti e precauzioni da conoscere per poterla gestire2.

 

È necessario quindi approfondire la tematica focalizzando l’attenzione sull’approccio al paziente pediatrico (e/o adulto) che soffre di tale patologia, sulle manifestazioni cliniche che anche in ambito odontoiatrico possono presentarsi, sulle terapie e sul trattamento delle situazioni di emergenza in studio. Scopo di questo lavoro di revisione è l’esposizione e l’analisi di questi aspetti, concentrandosi in particolare sul paziente pediatrico e sugli aspetti pedo-ortodontici che, sebbene in minima parte, vengono affrontati e approfonditi nella letteratura internazionale.

Materiali e metodi
È stata effettuata una revisione della letteratura dal database elettronico Medline (www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed). Le key words della ricerca sono state epilepsy, dentistry, orthodontics, paeditric patient. Gli articoli selezionati sono solo quelli scritti in inglese, dal 1991 al 2012. Nei criteri di inclusione sono stati selezionati articoli che analizzavano le caratteristiche principali delle manifestazioni generali e orali nei pazienti con epilessia, con particolare riferimento alle problematiche ortodontiche.

Discussione
Oggi la neurologia definisce l’epilessia come una patologia cronica con ricorrenza di convulsioni, manifestazioni caratterizzate da un’alterazione spontanea improvvisa temporanea delle funzioni del sistema nervoso, conseguenza di scariche neuronali abnormi. Le convulsioni, in particolare, sono forme che coinvolgono soprattutto il paziente in età pediatrica e che fortunatamente spesso esitano in guarigione3. L’ILAE (League Against Epilepsy) nel 2010 definisce l’epilessia «una disfunzione cerebrale caratterizzata da una predisposizione duratura a generare crisi epilettiche e di conseguenze neurobiologiche, cognitive, psicologiche e sociali di questa condizione»5.
L’epilessia colpisce circa 50 milioni di persone nel mondo: di questi, circa il 75% con eziopatogenesi ignota, sebbene in letteratura, in questi casi, venga associata anche la predisposizione familiare genetica, e il 25% riconducibile a danni, lesioni, infezioni cerebrali, traumi alla nascita o problematiche cerebrovascolari4. L’epilessia può svilupparsi in alcuni sindromi genetiche come la sindrome di Down o la sindrome di Sturge-Weber8.
Si differenziano, da un punto di vista clinico, l’epilessia “attiva” e quella “in remissione”. Se il paziente manifesta una crisi negli ultimi 5 anni, con o senza trattamento, l’epilessia si definisce “attiva”; viceversa, se le crisi non sono presenti negli ultimi 5 anni, è definita epilessia “in remissione”6. La prevalenza dell’epilessia attiva è compresa tra le 5 e le 10 persone su 1000 nella popolazione7.
Da un punto di vista fisiologico, la crisi epilettica è caratterizzata da un’attività abnorme di una popolazione di neuroni cerebrali, causata da oscillazioni del potenziale elettrico, registrabili sul cuoio capelluto.

Classificazione delle crisi epilettiche
Le crisi epilettiche sono state classificate per la prima volta nel 1989, suddivise principalmente in due gruppi:
• le crisi parziali o focali, con convulsioni che hanno origine focale;
• le crisi generalizzate, con convulsioni che iniziano simultaneamente nei due emisferi senza apparente origine focale.
Di entrambi i gruppi esistono ulteriori suddivisioni a seconda dell’età di esordio e a partire dal periodo neonatale9.
Le crisi epilettiche generalizzate si manifestano con una transitoria perdita di coscienza in cui vengono coinvolti centri talamici con diffusione della scarica a tutta la corteccia cerebrale10. Si suddividono principalmente in due sottogruppi:
• le assenze (“piccolo male”), tipiche dell’età pediatrica e dell’adolescenza, caratterizzate da episodi di perdita del contatto con l’ambiente clinicamente manifestati con arresto delle attività da parte del soggetto (per circa 10-30 secondi), sbarramento degli occhi, assenza di movimenti patologici13; si possono manifestare diverse volte nell’arco della giornata12. Possono essere ulteriormente differenziate in semplici o complesse a seconda della presenza (complesse) o meno (semplici) di mioclonie leggere periorali o periopalpebrali o addirittura di automatismi gestuali11.
• Le crisi tonico-cloniche (“grande male”), tipiche invece dell’adulto, caratterizzate da una fase iniziale definita “tonica” in cui, per qualche secondo, il soggetto perde improvvisamente i sensi e cade a terra, con conseguente irrigidimento della muscolatura. Dopo questa prima fase in cui il paziente rimane privo di coscienza, subentra una fase definita “clonica”, in cui il paziente manifesta delle scosse muscolari, dapprima lievi e ravvicinate, che diventano poi meno frequenti ma più imponenti. Spesso la contrazione muscolare porta al frequente serramento della mandibola che determina il tipico morsus da morsicatio della lingua; è inoltre possibile che fuoriesca bava striata di sangue dalla bocca. Il paziente può anche presentare cianosi dal momento che il respiro si arresta e incontinenza sfinterica, più frequentemente urinaria.

Epilessia e manifestazioni orali: problematiche odontoiatriche e ortodontiche
È possibile riscontrare diversi quadri clinici con lesioni, talvolta gravi, che coinvolgono il cavo orale, conseguenti alle crisi epilettiche o alle terapie farmacologiche ad esse associate.
Durante delle crisi di convulsioni possono verificarsi traumi che portano a lesioni della bocca, fratture facciali, avulsioni, e sublussazioni dell’ATM15.
Involontarie cadute e urti contro oggetti che sono presenti in studio possono causare fratture mandibolari, fratture mascellari o del complesso zigomatico-orbitale. In genere, le fratture più comuni sono quelle mandibolari nelle regioni di minor resistenza: condilo, angolo, processo coronoideo, ma anche a livello della linea mediana16. In odontoiatria pediatrica e in ortodonzia è importante prevenire le problematiche a livello del cavo orale e pianificare attentamente il trattamento odontoiatrico o ortodontico per il benessere del paziente affetto da epilessia20.
In prima visita occorre documentarsi bene sulla storia del paziente, facendo un’attenta anamnesi per avere una conoscenza approfondita dei disturbi convulsivi e dei farmaci assunti: aspetti da valutare possono essere il tipo di crisi, le cause note, la durata, eventuali assenze, traumi avvenuti durante questi episodi, interazioni farmacologiche19: è bene ricordare che crisi e convulsioni possono comunque sempre manifestarsi in situazioni legate alla fatica o mancanza di sonno, ciclo mestruale, diminuzione della salute generale, un pasto saltato, l’uso di alcol, stress o dolore21.
È consigliabile pertanto verificare che il paziente abbia assunto i suoi farmaci di routine, non sia eccessivamente stanco, stressato e preoccupato prima di iniziare il trattamento odontoiatrico: spiegare bene tutte le procedure potrebbe essere d’aiuto nel tranquillizzare il paziente. Occorre prestare attenzione, come già anticipato, alle terapie antiepilettiche che i pazienti assumono, in relazione alla tipologia del farmaco: in letteratura è evidente come, ad esempio, la fenitoina, il cui effetto collaterale è il più noto, provochi ipoplasia gengivale22.
In letteratura ancora poco è stato pubblicato sul trattamento ortodontico nel bambino affetto da epilessia. In generale, si ricorda che i pazienti devono essere consapevoli del rischio per i tessuti molli e le lesioni dentali possibili durante una crisi24. L’ortodontista deve assicurarsi che il paziente abbia assunto prima di ogni appuntamento i farmaci antiepilettici, non sia troppo stanco e abbia mangiato regolarmente.
Deve accertarsi che il paziente riceva regolarmente e preventivamente cure odontoiatriche per diminuire o eliminare il rischio di carie, gengiviti ecc.25. Occorre trattare preventivamente fenomeni di gengivite associata a placca o farmaco dipendente26.
È bene ricordare che la possibile ipertrofia gengivale può causare ritardi nell’eruzione dei denti permanenti e/o affollamenti e malocclusioni nei bimbi con dentatura mista28.
Per quanto concerne le apparecchiature rimovibili, esse devono essere utilizzate con attenzione, con cautela e, eventualmente, progettate con la massima cura e per la massima ritenzione possibile, in quanto possono essere inghiottite durante un episodio di crisi27,30.

Conclusioni
Da questo lavoro di revisione si evince che l’approccio a problematiche sistemiche con complicanze odontoiatriche come quelle del paziente epilettico si riscontrino quotidianamente e sempre più frequentemente anche in ambito ambulatoriale.
Diventa pertanto molto importante per un odontoiatra e/o un ortodontista conoscere le principali manifestazioni cliniche dell’epilessia per potersi approcciare nel modo più corretto e sicuro al piccolo paziente.
Importante e necessario, sebbene non trattato in questo lavoro, l’approfondimento sulla gestione ambulatoriale delle crisi in situazioni di emergenza.

È provato il collegamento tra l’assunzione degli antidepressivi e il fallimento degli impianti dentali

I pazienti che fanno uso di alcuni antidepressivi potrebbero essere più suscettibili al rigetto dell’impianto dentale rispetto a coloro che non fanno uso di questi farmaci.

MONTREAL – Le ricerche hanno dimostrato l’SSRI (Selective serotonin reuptake inhibitors, uno dei farmaci più ampiamente usati per il trattamento della depressione in tutto il mondo, può aumentare i rischi di fallimento degli impianti. L’antidepressivo era già stato associato ad una crescita ridotta dell’osso e all’aumento di rischio di fratture ossee.

 

I ricercatori della McGill University hanno passato al setaccio le cartelle di 292 femminile e di 198 pazienti maschi nella fascia di età compresa tra i 17 e i 93 anni, che avevano ricevuto gli impianti dentali tra il gennaio del 2007 e del 2013. In totale sono stati esaminati 916 impianti dentali, di cui 94 applicati a 51 pazienti che facevano uso dell’SSRI.

Durante il periodo di osservazione 868 impianti non hanno avuto conseguenze mentre 48 sono andati incontro al fallimento. Il tasso di insuccesso è stato significativamente più elevato nei consumatori di SSRI (10,6%) rispetto a coloro che non ne facevano uso (4,6%). Si è ipotizzato che il fallimento nei pazienti facenti uso era prevalentemente associato a problemi di caricamento meccanico. Di qui l’ipotesi che gli SSRI potrebbero causare perdita d’osso. Per confermare l’ipotesi, tuttavia, saranno necessari ulteriori studi. Anche il fumo e l’utilizzo di impianti di piccolo diametro (≤ 4 mm), sono associabili a un maggior rischio di fallimento. Il rigetto si è verificato principalmente (80%) in un lasso di tempo compreso tra 4 e 14 mesi dopo il posizionamento.

Secondo il Centers for Disease Control and Prevention, gli antidepressivi sono al terzo posto tra i farmaci più utilizzati dagli americani di tutte le età: più frequentemente da persone tra i 18 e i 44 anni. Si ritiene che circa l’11% degli americani, a partire dai 12 anni in su prenda l’antidepressivo SSRI.

SCOPERTA L’ORIGINE DELLA FEBBRE

Il meccanismo che scatena una delle reazioni più comuni dell’organismo è la sequenza di segnali che viene attivata ‘in caso di emergenza’ dalla famiglia di sostanze-spia delle infiammazioni, le prostaglandine, prodotte dai vasi sanguigni del cervello. La scoperta, che apre la via alla possibilità di mettere a punto farmaci più efficaci, si deve al gruppo dell’università svedese di Linkoping coordinato da Daniel Björk Wilhelms, che ha pubblicato lo studio sul Journal of Neuroscience.

Il meccanismo che genera la febbre
La febbre è una risposta ad un’infiammazione, ma ”nel caso di gravi infezioni – spiega David Engblom, uno dei ricercatori – può essere una cosa buona”. Già 11 anni fa Engblom aveva scoperto il meccanismo dietro la formazione delle prostaglandina E2 durante la febbre. Queste molecole-spia non possono attraversare la barriera fatta di vasi sanguigni, che protegge il cervello da sostanze pericolose. Il ricercatore svedese ha dimostrato invece che le prostaglandine possono essere sintetizzate da due enzimi presenti nei vasi sanguigni del cervello, prima che si spostino all’ipotalamo, dove si trova il ‘termostato’ del nostro corpo.

Il nuovo studio
In questo nuovo studio i test sono stati condotti su topi privi degli enzimi COX-2 e mPGES-1 nei vasi sanguigni cerebrali. Una volta infettati gli animali con tossine batteriche, i ricercatori hanno visto che la febbre non compariva, mentre gli altri sintomi dell’infiammazione sì. ”Ciò dimostra – prosegue Engblom – che le prostaglandine responsabili della febbre si formano nella barriera sangue-cervello e da nessun’altra parte

Gli Italiani non vedono il proprio dentista regolarmente

Sono fortemente consigliati frequenti check-up dentali. Tuttavia, non tutti gli italiani vedono il proprio dentista regolarmente.

Roma, Italia: Da una recente ricerca è stato rilevato che quasi un quarto degli italiani non hanno visto un dentista negli ultimi due anni. Secondo un sondaggio, un numero significativo di persone nel belpaese – specialmente al sud – evita il check-up dentale.

Come riportato dal sito www.gazzettadelsud.it, l’Istituto di ricerca per la salute Demoskopea ha condotto un sondaggio su 37.000 persone tra i 18 e i 65 anni di età per conto di Dottori.it, un motore di ricerca che consente agli utenti di trovare lo specialista più vicino e prenotare una visita. Dall’indagine è emerso che gli italiani tendono ad evitare i controlli medici, in particolare per occhi e denti: quasi il 23% degli italiani non si è sottoposto a un check-up dentale per più di due anni.

Il sito ha segnalato che il peggior dato statistico arriva dal sud Italia, così come per Sicilia e Sardegna. Anche la Liguria riporta dati scoraggianti, mentre le persone che vivono nelle regioni Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia e Lazio sembrano essere più coscienziose in termini di cura preventiva.